sabato 21 gennaio 2012

ZINGO n° 3 "Grosso guaio a Giudatown" (2a parte)

(...segue...)

     Avevo ora bisogno di un telefono pubblico. Mi avviai dunque lungo Via Spruce camminando a ridosso degli edifici per ripararmi dalla pioggia: per trovare una cabina telefonica dovetti arrivare fino all’incrocio con Via Citterich, parecchi isolati più avanti, e aspettare che un giovane dall’aria spaesata terminasse la sua chiamata a casa: “Papà”, diceva il tonto, “Io e Margie vorremmo venire a cena da voi stasera; puoi dire a mamma se ci prepara i crostini con le melanzane fritte? Bene! E che ne dice mamma di fare anche il minestrone con le melanzane?”. E ancora: “E puoi chiederle se per secondo ci fa lo spezzatino con i funghi e le melanzane? Sai, a Margie piace un sacco”. Pensavo avesse terminato le sue ordinazioni, invece: “Ah, papà, un’altra cosa ancora: chiedi a mamma se per contorno può cucinare le melanzane con l’intingolo di burro e melanzana. Margie ne va pazza”. Dopo sette minuti di dettagli sul menù il giovane amante di leccornie riattaccò la cornetta. Non resistetti ad una frecciata: “Ti sei dimenticato il dolce!”. Quello, che ormai se ne stava andando, ebbe un sussulto e si lanciò di nuovo dentro la cabina telefonica ringraziandomi per la dritta. Maledetto me! Il giovane chiamò di nuovo casa: “Papà, indovina chi sono?”. (“Quel coglione che ho messo al mondo”, avrebbe dovuto rispondere senza esitazione suo padre se solo avesse avuto un po’ di dignità…). “Mi stavo dimenticando del dessert. Puoi chiedere a mamma se ci fa pure le melanzane con la glassa di cioccolato? Bene, ciao paparino. Io e Margie, la mia adorabile ghiottona, arriviamo in un baleno”.
     Finalmente riuscii ad appropriarmi del telefono e chiamai il Mini al Dipartimento: “Ciao, Mini”.
     “Dino carissimo! Come te la passi?”.
     “Benone, Mini, ma ho bisogno del tuo aiuto. Avrei urgenza di sapere qualcosa circa un certo dottor Latimer. Mi sembra di averne letto qualche ‘bravata’ di recente ma non ricordo bene… Puoi aiutarmi?”.
     “Ma certamente. Dammi il tempo di passare dall’Archivio Dati e ti informerò al più presto. Ti richiamo io”.
     Molto bene: questa era fatta.
     Dovevo adesso tornare da Tegolo, al noleggio delle grancasse, per conoscere qualcosa di più su Pegus Baita. Così rifeci la strada al contrario ed entrai nel negozio quando era ormai orario di chiusura.
     Qualcosa lì dentro non quadrava; semmai soqquadrava, giacché il negozio era stato rovesciato da capo a piedi (davvero una moda da quelle parti!): le grancasse erano state sbatacchiate con violenza e in parte fracassate al suolo, alcune vetrinette sfondate senza ritegno, gli scaffali rovesciati, nell’aria si sentiva forte l’odore della polvere. Ma a catturare la mia attenzione fu soprattutto un lamento insistito proveniente da dietro il bancone: “Ohiohiohiohiohi… ”.
     Estrassi il revolver, la mia Poseidon 48 sempre pronta a piazzare colpi precisi, e mi appressai circospetto al bancone. Steso per terra c’era un tale con la testa incastonata in una grancassa. Siccome piagnucolava dolorante, ne dedussi che fosse ancora vivo. Sebbene non lo vedessi in volto, gli parlai: “Salve… Metta lentamente le mani dietro la nuca ed esca di lì”.
     Ma quel tizio sussultò di paura: “No! Basta! Ho già detto tutto quello che sapevo! Non mi torturate ancora… Ohiohiohiohi…” e riattaccò col suo piagnisteo amplificato dallo strumento.
     “Chi si nasconde lì sotto?”, chiesi spianando la Poseidon 48.
     “Son Tegolo… Oddìo, che mal di testa…”.
     “Tegolo! Non l’avevo riconosciuta! Sono quello che mezz’ora fa cercava la Zurg! Fausto Kazz, ricorda? Ma che diavolo ha combinato qui? Le pare questo il modo di mettere ordine nel negozio?”.
     “Ma che cosa dice? Ohiohiohiohi… Sono stato picchiato, non vede?“.
     “Ah sì? E da chi?”.
     “Ma che ne so io???”, mi fece quello risentito.
     “Siamo nervosetti, eh?”. Poi ripresi con pazienza: “Ascolti, Tegolo. Sono qui per aiutarla: mi racconti come si è svolta questa rapina”.
     “No, non si è trattato di una rapina! Quei due mi hanno aggredito… Sembravano persone a modo, ben vestite, e invece… Oddìo, hanno cominciato a sfasciare tutto… Che disastro! Ora chi lo sente il Gropp?”.
     “Risponda con esattezza a questa sequela di domande: quanti erano?”.
     “Due”.
     “Bene, molto bene… Ooh, dunque… La seconda domanda è questa… Dunque… Ehm…”. Niente. Non mi sovveniva alcunché d’interessante. “Aspetti un attimo, Tegolo. Devo controllare un particolare”. Mi salvai in corner ricordandomi che ero in quel negozio per scovare un cadavere, non certo per prestare soccorso a chicchessia, ecco. Infilai ratto nel retrobottega del negozio e mi affacciai nuovamente nel cortiletto per controllare se qualcosa era cambiato dopo l’imboscata dei due non meglio precisati malviventi. Nulla di rilevante: sebbene tutto fosse stato messo sottosopra, le spoglie di Baita non erano saltate fuori. Tornai all’interno del negozio e Tegolo non dava cenni di miglioramento. Infatti gemeva raucamente: “Ohiohiohiohi… (eccetera)”.
     Adesso avevo comunque in mente qualche domanda più precisa: “Tegolo, come va?”.
     “Ohiohiohiohi…”.
     “Molto bene. Mi parli dell’aggressione”.
     “E’ stato uno shock, glielo assicuro. Ho visto questi due signori uscire da una bella macchina parcheggiata davanti al negozio, una Pirrowet color canna di fucile…”.
     “Canna di fucile?”.
     “Sì, non se ne vedono molte di quel colore”. Tegolo seguitò: “Ohiohiohiohi… Due signori in completo scuro, con borsalino in testa: entrambi alti, uno robusto l’altro segaligno. Sono entrati qui e hanno cominciato a sfasciare tutto… Ohiohiohiohi, mi fa male solo il ricordo…”.
     “Ma cos’è che volevano, se non i soldi dell’incasso?”.
     “Non saprei… Insistevano a dirmi: ‘Chi era quel tizio con baffetti ed occhiali che era qui prima di noi?’. Me lo ripetevano all’infinito”.
     “E Lei?”.
     “Mi dispiace, mister Kazz, ma al terzo sganassone non ho retto più e ho dovuto fare il suo nome”.
     “Poco importa. E poi? Che cos’altro volevano sapere?”.
     “Urlavano come invasati: ‘Che cosa cercava? Che cosa voleva? Insomma, che cazzo cercava?’”.
     “E Lei?”.
     “E io che gli dovevo dire? ‘Cercava una Zurg! Cercava una grancassa Zurg!’. Ma, visto che non sapevo rispondere altro, mi hanno malmenato a piacimento. Uno di loro è andato di là nel retrobottega, lo sentivo fracassare tutto; quello che è rimasto con me invece continuava a farmi la stessa domanda e infine, spazientito, mi ha rotto questa grancassa sul capo… Io mi domando se sia questo il modo… Ohiohiohiohi…”.
     “Capisco. Ora apro una brevissima parentesi. Mi dica, Tegolo: Lei conosce Pegus Baita?”.
     “Sì... Abita proprio qui, sopra il negozio...”.
     “Mi sa dire di che cosa campa?”.
     La grancassa parlò ancora tra i singhiozzi: Ohiohiohiohi… So che fa il fachiro… Spesso col suo spettacolino intrattiene gli avventori del Bar Abba, quello sull’angolo di Farf Road a qualche isolato da qui… Ohioh…”.
     “Sì, ho capito, Tegolo: ‘ohiohiohiohi’. Ora basta, però. Suvvìa, mica sarà il solo ad aver preso una grancassa in testa, no? Piuttosto mi sa riferire altri particolari su quei due loschi perdigiorno?”.
     “Ohiohiohiohi… Non saprei… Di sicuro non erano di Giudatown; l’accento sembrava semmai quello di Vanv”.
     Ma perché due briganti di Vanv volevano conoscere la mia identità? Li stavo forse intralciando nella loro losca attività? Che anche loro fossero interessati al Baita? Se così era, perché il cadavere di questo fachiro faceva gola a tante persone? Era un quesito che dovevo risolvere in fretta per venire a capo dell’intero enigma. Usai il telefono del negozio (in questo caso non c’era bisogno di riservatezza) per chiamare un’ambulanza, rassicurai poi Tegolo sul fatto che di lì a poco sarebbero arrivati i soccorsi per lui e per la sua capoccia dolorante e infine lo salutai per procedere spedito nelle indagini.
     Appena uscii in strada feci l’atto di dirigermi verso la Scaberwilly quando uno stridio di gomme lungo la via lucida di pioggia attirò la mia attenzione. Una vettura sopraggiunse a velocità folle e quando mi fu quasi davanti mi sembrò di riconoscerla. “Ma sì”, dissi meditabondo tra me e me, “quella deve proprio essere la Pirrowet degli aggressori di Tegolo… Sì, quella è proprio la Pirrowet color canna di fucil…”.
     BAM! BAM! Due colpi di fucile, per l’appunto. Appena sopra la mia testa, tanto da farmi acquattare sulle ginocchia e istintivamente farmi poi scudo con un anziano passante con l’ombrello che non si era accorto di nulla. Nel parapiglia non mi sfuggì comunque il rumore tintinnante di un bossolo saltellarmi fin quasi tra i piedi.
     La Pirrowet omicida aveva cercato di farmi la pelle ma con prontezza l’avevo scampata. Mentre gli attentatori fuggivano a tutto gas lungo Via Spruce, mollai l’anziano bacucco con l’ombrello e scaricai la tensione rivolgendo alla vettura ormai distante un bel gesto... dell’ombrello; ma quel vecchietto che aveva frainteso mi apostrofò: “Bravo! Fine ed educato! Prima mi strattona e poi mi manda anche a quel paese… Ma io te le suono, sai, giovinastro!” e mi agitò contro il suo parapioggia.
     Quando poi, attratti dagli spari, accorsero due agenti della Gendarmeria in ricognizione, colsi al volo l’occasione. “Che cosa è successo qui?”, fece il più brutto dei due. Estrassi subito il mio tesserino di riconoscimento: “Salve. Il mio nome è Zingo, Dino Zingo. Sono un investigatore privato. Molto preparato, tra l’altro. Mi sa tanto che dovrete consegnare questo pensionato alle patrie galere”.
     Fortunatamente il fatto che il grinzoso ometto seguitasse a minacciarmi con la punta dell’ombrello giocò a mio favore. “Vedete?”, feci. “Questo pover’uomo ha completamente perso la ragione”.
     “Sì, ma con quale accusa dobbiamo arrestarlo?”.
     “Con ‘quali accuse’, vorrete meglio dire, perché il vegliardo ne ha commesse parecchie: disturbo della quiete pubblica, nevvero? E poi… e poi sragionamento, molestie a passante ignaro e danni ad un pubblico esercizio”.
     “Pubblico esercizio? Ma quale?”.
     “Il negozio di grancasse di Art Gropp che abbiamo qua davanti. Potete controllare voi stessi che cosa ha combinato questo vecchio. Bravo! Proprio un bell’esempio per i nostri giovani. Bravissimo, davvero!”. E resi tutto più plateale con un ironico applauso all’indirizzo della cariatide. Forse esagerai un po’, ma avevo una gran fretta di liberarmi dei due Gendarmi e delle minacce querule del bacucco.
     “In verità noi siamo accorsi dopo aver sentito il rumore di due spari”.
     “Spari? Ah sì, ricordo…”, dissi distrattamente per depistare i due Gendarmi. “Ma quella è stata una bravata, una ragazzata…”.
     “Da dove sono partiti i colpi?”.
     “Mah… mi pare da una macchina che stava percorrendo la via poc’anzi”.
     “Era forse quella Pirrowet color canna di fucile targata Vanv che abbiamo visto sfrecciare via a folle corsa?”.
     “Non so dire se fosse di Vanv, ma sì, posso confermare che si trattava di una Pirrowet color canna di fucile”.
     “Peccato non esser riusciti a prendere per intero le cifre della targa… abbiamo soltanto visto due signori con tanto di borsalino in testa all’interno della vettura”.
     Non c’erano più dubbi ormai. Una Pirrowet targata Vanv, due tizi col borsalino, un fucile ad alta precisione (se poi chi lo maneggia non è preciso, questo è un altro paio di maniche…). Tutti elementi che indirizzavano i miei sospetti verso la rinomata ganga di Vanv, la più grossa organizzazione malavitosa di quella città. Comunque, per fortuna, le due fucilate sparate da quelli di Vanv erano state sparate davvero a… vanvera. A proposito: dov’era andato a cacciarsi quel dannato bossolo? I Gendarmi avevano già preso la via della Centrale col vecchio in manette e i pochi altri passanti non avrebbero certo prestato attenzione a quel che combinava un disgraziato inginocchiato sul marciapiede mentre diluviava (e pensare che nessuno mi pagava per quella maledetta indagine! Ah, come vivrei meglio in generale se non avessi dentro di me questo forte senso del giusto…). Tastai per un quarto d’ora tra le pozzanghere ma alla fine servì a qualcosa: trovai il bossolo. Sul fondello v’era incisa una scritta che però avrei fatto meglio ad esaminare più tardi, una volta rincasato. Intanto era sopraggiunta l’ambulanza che avevo chiamato e il povero Tegolo fu soccorso. Dopo poco vidi due barellieri uscire dal negozio e trasportare via una… ‘grancassa con le gambe’ che lamentava tutto il suo dolore: “Ohiohiohiohi…”.
     Bene. Sistemate le cose per il meglio in quel di Via Spruce, potei finalmente fare ritorno alla mia accogliente dimora. Durante il tragitto, reso ancora più estenuante dall’intensità del traffico e del nubifragio, ebbi modo di riflettere di nuovo sull’intera faccenda. Chi mi aveva preceduto nel negozio di Gropp per appropriarsi del cadavere del celebre Baita? La telefonata che avevo per sbaglio ricevuto intendeva sollecitare l’intervento di un certo Les ma se dall’altro capo del telefono c’ero io come avrebbe fatto Les a conoscere dettagli e direttive per agire con prontezza? Forse quel Roller era riuscito ad intromettersi nella faccenda? Diventava a questo punto interessante sapere se in nottata il dottor Latimer avrebbe ricevuto visite. Altra domanda: perché portare un cadavere dal dottore? Si trattava forse di un segreto studio di anatomia? O v’era piuttosto di mezzo un losco smercio di organi? Impallidivo al solo pensiero! Non lo avrei potuto appurare fino all’indomani dal momento che ancora dovevo raccogliere alcune informazioni e l’orario già tardo non mi avrebbe consentito una grande libertà di azione.
     Quando rincasai trovai nella segreteria telefonica il messaggio dell’ispettore Mini che diceva di avere notizie interessanti per me. Vista l’ora lo chiamai direttamente a casa, al numero 594406 (ve l’ho voluto mettere nel caso ogni tanto gli voleste fare qualche scherzo telefonico… Ah, semmai ricordatevi naturalmente di far precedere il numero dal prefisso di Giudatown).
     “Pronto?”.
     “Ciao, Mini”.
     “Dino carissimo. Come te la passi?”.
     “Non mi fare dir niente, guarda; sono bagnato fradicio”.
     “Di sudore? Ma che ti sei messo a fare? Del jogging sotto un acquazzone di tale portata?”.
     “No, sono fradicio proprio per l’acquazzone, Mini. Senza bisogno del jogging”. E’ una brava persona, l’ispettore; ma non è una cima, va detto.
     Seguitai: “Allora? Quali notizie mi porti di questo dottor Latimer?”.
     “Dunque, ecco che cosa è saltato fuori dall’archivio: il dottor Luciano Latimer è stato a lungo uno dei chirurghi più in vista del Kopperheinz Hospital. No, dico: hai capito, Dino? Il Kopperheinz Hospital! Mica merda, insomma! Comunque: primario stimatissimo da colleghi e subalterni, professionista irreprensibile, molto affabile anche con i pazienti. Tutto bene fino a una decina di anni fa, quando il suo nome saltò fuori nel grande scandalo che, te ne ricorderai, coinvolse una parte del personale del Kopperheinz Hospital: si parlò di corruzione e favoritismi. Ci fu un’inchiesta e, pur senza incappare in nessun provvedimento legale, Luciano Latimer polemicamente preferì dimettersi dall’ospedale. Un paio d’anni più tardi mise su una clinica privata forzando un po’ sul suo nome, la “Clinica del grande e innocente Dottor Luciano Latimer”; insomma, sembrò quasi che il chirurgo avesse sfruttato ad arte l’eco di quel celebre processo. Non passarono altri due anni che una seconda inchiesta piombò sulle spalle di Latimer: fu accusato di lavorare dietro copertura e appoggio economico di uno dei più grossi gruppi malavitosi di Giudatown, il clan degli Abbatecola. Stavolta per lui non ci fu scampo: il pubblico ministero gli si lanciò contro con tutte le sue forze e addirittura riuscì a riannodare certi fili lasciati in sospeso dalla precedente vicenda giudiziaria. Il dottore fu radiato dall’albo ed ha passato anche qualche tempo in gattabuia. Oggi ufficialmente non esercita più. Ma il suo nome è tornato di recente a far capolino nelle cronache (ed è forse la notizia che avevi letto tu da qualche parte) quando è stato accusato di aver aiutato il giovane boss Ninetto Abbatecola a rifarsi una nuova identità grazie ad un finissimo intervento di plastica facciale. Non si è potuto dimostrare nulla al riguardo, ma pare evidente che i legami tra il clan degli Abbatecola e il dottore siano ancora ben stretti: oltretutto nell’abitazione di Latimer c’è tutt’oggi uno studio medico con attigua sala chirurgica funzionante, anche se ufficialmente non operativa… o operatoria, se mi concedi la battuta, ih, ih, ih”.
     Dopo l’illuminante relazione del Mini, andai sotto all’abat-jour del salotto e tirai fuori il bossolo che avevo recuperato in Via Spruce. Aguzzando quella vista che già di per sé mi avvicina di molto all’acume di una lince, non mi fu difficile decifrare l'incisione sul fondello. C’era scritta una sigla piuttosto nota nell’ambiente di quelli dal grilletto facile: VA-AR-CA. Ovvero: VAiolo, l’ARmaiolo di CAliginus. Caliginus è una piccola frazione a sud di Giudatown, famosa proprio per la presenza di quella benemerita fabbrica d’armi; la cosa significativa è che per Caliginus passa la statale che unisce Giudatown a Vanv. Da Vaiolo (al secolo Ugo Vaiolo), un vero artista di polvere da sparo e affini (o paraffini, per rimanere in tema), invero mi sono servito spesso anch’io: sapete, la mia Poseidon 48 ormai è un po’ una rarità sul mercato e soltanto un vecchio armaiolo come il Vaiolo seguita a fabbricarne i caratteristici proiettili spungiformi ad un prezzo accessibile. L’indomani, a qualche ora del giorno, avrei fatto bene a raggiungere Caliginus per scambiare quattro chiacchiere con il buon Ugo.
     Undici rintocchi di pendolo mi avvertirono che erano le undici di sera; sì, il mio pendolo funziona molto bene. Mi dissi che le undici di sera erano un orario troppo tardo per fare visita al dottor Latimer, sebbene forse proprio in quel momento nella dimora del chirurgo stavano accadendo cose succulente; sarei piuttosto andato a letto per essere efficace e vispo il giorno seguente. Caricai la sveglia per le 5 del mattino e mi ficcai sotto le coperte. E buonanotte al secchio!

(...continua...)



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