giovedì 19 gennaio 2012

ZINGO n° 3 "Grosso guaio a Giudatown" (1a parte)


     Salve. Il mio nome è Zingo, Dino Zingo. Sono un investigatore privato che sa il fatto suo e sto per trascinarvi in una delle avventure più avvincenti (e per fortuna persino vincenti) che la mia carriera abbia mai conosciuto. E scusate se è poco.
     Era un martedì di autunno inoltrato e stava diluviando. S’era sul far della sera ed io me ne stavo rincasando con un pronunciato nervosismo per via di un pomeridiano pedinamento andato a monte. No, che cosa avete capito? Il pedinamento era andato a buon fine ma per scrutare le mosse furtive di Ralph Tintus, noto brigante di cui un giorno vi parlerò, mi ero dovuto spingere appunto su su fino a monte, presso Saint Giubilo Hill: una strada tutta tourniquet e curve ‘a vomito’ che avevano sottoposto a dura prova le mie qualità di abile pilota. Adesso non vedevo l’ora di rimettere piede nel mio appartamento e… nella mia pantofola. Peccato però che non riuscissi a trovare le chiavi. Fuori dall’uscio mi stavo letteralmente inzuppando. Oltretutto sentivo distintamente il trillo del telefono provenire dall’interno di casa, al numero 77 di Via Gospel. Finalmente riuscii ad entrare, corsi dunque trafelato nell’ingresso e sollevai la cornetta: “Pronto?”.
     Una voce bassa e ansante disse: “Ehi, Les! Ma dove cazzo ti eri ficcato? E’ da un bel po’ che ti sto chiamando!”.
     Les? Ma quale Les? Stavo per controbattere e presentarmi per quello che realmente sono: Zingo, Dino Zingo, grande investigatore privato, ma quella voce aveva una gran fretta di parlare e non me ne dette il tempo. Infatti seguitò: “Ascoltami bene, Les: è tutto sistemato. Il grosso del lavoro, intendo. Però ci sono state delle complicazioni e adesso non c’è un attimo di tempo da perdere. Quel cane rognoso di Rocco Roller deve avermi visto e mi sta alle calcagna. Ho bisogno che tu finisca l’opera. Il cadavere di Pegus Baita…” (Santa Madonna! Un cadavere? Ma qui si fa sul serio! Santa Madonna! Oh, Santa Madonna, davvero!) “…è all’esterno del retrobottega di Art Gropp, il noleggiatore di grancasse, quello che ha il negozio in Via Spruce. Baita l’ho freddato nella sua abitazione al piano di sopra, poi però ho dovuto sbarazzarmi del corpo e l’ho lasciato cadere nel cortile interno… Ci si accede soltanto dal retrobottega del negozio di Gropp… Devi andarci subito, prima che qualcuno se ne accorga… Comunque credo che Roller seguirà me, non sospetta che abbia già eliminato il fachiro, ma l’inganno non durerà a lungo… Tu fa’ in fretta! Prendi il cadavere e portalo dal dottor Latimer. E’ già stato allertato da Larry. Tutto chiaro, Les?”.
     “Sì. Ciao”. Camuffai un po’ la voce e forse azzeccai l’imitazione di quel Les della malora.
       Les.
     Rocco Roller.
     Pegus Baita.
     Art Gropp.
          Via Spruce.
     Dottor Latimer.
     Larry.
     In due minuti di telefonata questi erano i nomi che erano saltati fuori: gli elementi non abbondavano ma un grande investigatore gode quando l’indagine è nebulosa. A dire il vero mi pareva di rammentare di aver letto di recente qualcosa circa un certo dottor Latimer… Sì, mi sembrava che il nome fosse proprio quello, ma non ricordavo a proposito di quale accadimento… Forse si trattava di qualche pendenza giudiziaria a suo carico, ma non avrei saputo dire con certezza. Avrei appurato più tardi. Detti un’occhiata all’orologio: le sette meno venti. Probabilmente Art Gropp non aveva ancora chiuso bottega, ma non sarebbe rimasto aperto a lungo. Presi lo stradario e controllai dove si trovasse quella Via Spruce… Bene, era nella zona sud di Giudatown, nel malfamato quartiere dell’Old Begallus. C’era da correre, altroché!
     La Scaberwilly filò via sull’asfalto sicura come un leprotto quando ancora non è iniziata la stagione della caccia. Il traffico era intenso, la pioggia battente, i nervi tesi e il crimine sempre di ronda.
     Quando arrivai in Via Spruce un furgoncino Frana rosso fuoco sgommando via mi lasciò fortunatamente libero il posto per parcheggiare la macchina proprio davanti al negozio di Art Gropp, a quel che se ne sa ottimo noleggiatore di grancasse. Mi proiettai indi celermente all’interno della di lui bottega.
     Mi si fece incontro un occhialuto giovanotto: “Buonasera, mister. Posso esserle d’aiuto?”.
     “Si capisce. Lei è il signor Gropp?”.
     “No, mi dispiace ma Art è uscito proprio un minuto fa. Io sono Tegolo, il suo aiutante. Può comunque dire a me, se si tratta di grancasse”.
     “Sa dirmi, Tegolo, se il Gropp tornerà qui prima di stasera?”.
     “No, non tornerà. Ha chiesto a me di fare la chiusura perché lui prendeva il furgoncino…”
     “Quel Frana rosso fuoco che ho visto filare via?”.
     “Sì, esatto. Intendeva sbrigare personalmente una consegna dopo il contatto telefonico con uno dei nostri clienti più fedeli”.
     Dannazione! Lo avevo perso per un pelo. Ora mi serviva una qualsiasi scusa per frugare a fondo nel retrobottega e di lì nel cortile interno di quel negozietto. Andai a braccio: “Bene, bene. Vorrà dire che mi aiuterà lei, Tegolo. Avevo già parlato col Gropp al telefono qualche giorno fa e so che lui mi aveva messo da parte (m’immagino nel vostro retrobottega) una grancassa ultimo modello”.
     “Mm… posso guardare se mi ha lasciato un biglietto. Il suo nome?”.
     “Il mio nome? Ma certo… eh, eh, eh… va a finire che uno parla parla e poi manco si presenta… eh, eh, eh…”. Ridacchiavo per prendere tempo, naturalmente, nella speranza di inventarmi un buon nome fittizio.
     “Dunque? Come si chiama?”.
         “Eh, eh, eh… Mi chiamo esattamente, proprio per la precisione… Mi chiamo Fausto… Eh, eh, eh... Fausto Kazz, diciamo”.
     Tegolo sembrò leggermente sospettoso ma infilò ugualmente nel retrobottega a controllare. Dopodiché rieccolo tornare piuttosto costernato: “Sono piuttosto costernato, mister Kazz, ma non trovo il suo nome tra quello delle prenotazioni”.
     “Ah, benissimo ugualmente. Si vede che Gropp fidava di darmi di presenza la grancassa che gli avevo richiesto. Vorrà dire che in sua assenza la sceglierò io personalmente: mi faccia strada nel retrobottega, Tegolo”.
     “Comunque, mister Kazz, può benissimo sceglierla tra queste esposte qui”.
     “Art mi ha detto che i pezzi pregiati sono quelli là dietro: mi faccia strada nel retrobottega. Via, Tegolo, sennò m’incazzo!”.
     “Prego?”
     “No, dicevo: via, Tegolo, sono pur sempre mister Kazz!”.
     Vedevo bene che il Tegolo non si fidava pienamente di me, ma figuratevi se mi lasciavo condizionare da un giovanotto e per giunta occhialuto. Perdiana, in quel negozio v’era un cadavere nascosto e l’avrei scovato ad ogni costo! Quando fummo nel retrobottega Tegolo mi dette una mazza con la testa di feltro e mi disse che, se volevo, prima di scegliere il modello di grancassa potevo naturalmente provare a suonarla con quella. Mm, perlomeno mi sarei divertito…. Ad un tratto udimmo il campanellino della porta d’ingresso che segnalava la presenza di un nuovo cliente all’interno del negozio. Tegolo dovette lasciarmi lì da solo: benissimo, era la situazione che auspicavo. Mi guardavo attorno con febbrile attenzione cercando di trovare un accesso che desse sul cortile esterno ma non scorgevo altro che grancasse: un incubo! Principiai a spostare quei dannati strumenti e nella foga ne feci rotolare pure qualcuno, fino a che vidi la benedetta porticina. La aprii e mi ritrovai in un angusto cortiletto a cielo aperto di circa tre metri per tre. Nonostante la penombra e la pioggia a scroscio non mi ci volle molto per capire che lì non c’era nessun cadavere. Guardai in alto verso le finestre della palazzina sovrastante ma non c’era il minimo particolare che potesse aiutarmi nella soluzione dell’enigma. Tuttavia era evidentemente da una di quelle che il corpo inerte di Pegus Baita era stato lasciato cadere. Ricontrollai bene il cortile piastrellato, ma al di là di un paio di grancasse dissestate e di alcuni vasi di piante grasse non c’era niente. Rientrai nel retrobottega proprio in tempo per sentire Tegolo che salutava e ringraziava il suo cliente e si apprestava di nuovo a raggiungermi: per non insospettirlo ulteriormente strinsi la mazza, mi accostai ad una delle grancasse e principiai a dare grandi colpi a tutto braccio: TUM! TUM! TUM! TU-TU-TUM!
     Tegolo entrò smanacciando: “Piano! Pianoooo! Così me la sfonda, mister Kazz!”.
     “Ah, mi scusi… ”.
     “Ma lei mi sembra ubriaco come un tegolo!”, mi fece Tegolo.
     “E’ che mi sono lasciato prendere dal ritmo… Come le pareva questo shuffle?”.
     Mi considerò meno di zero: “Dunque? Ha trovato quello che cercava?”.
     “Macché! Questi ‘tamburoni’ sono tutti molto buoni, per carità, ma Art mi aveva parlato di un modello speciale…”.
     “Aspetti”, fece di colpo il giovane occhialuto. “La sua era forse una grancassa Zurg?”.
     Che cosa avevo da perdere? “Ehm… Si! Proprio una Zurg!”.
     “Ah, che peccato! Ci credo che Art gliene avesse parlato bene: quella è una ‘signora grancassa’! Purtroppo il Gropp deve essersi dimenticato di averla promessa a Lei e l’ha noleggiata al cliente cui ha telefonato poco prima del suo arrivo: strano che non se ne sia rammentato. Art è molto scrupoloso”.
     Pensai che da quel buco non ci potessi cavare nessun ragno: qualcuno si era impossessato del cadavere di Baita e lo aveva fatto senza che proprietario e garzone di fatica (detti anche ‘i due dormienti’) se ne fossero avveduti. Mi venne in mente un’ultima domanda: “Senta un po’, Tegolo: quanti clienti avete avuto nell’ultima mezz’ora?”.
     “Ah, davvero non saprei dirle: qui è un continuo via vai. Come mai?”.
     “Una semplice curiosità di abile percussionista, ecco”. Le balle sono il mio forte, non c’è che dire.
     Seguendo la tabella di marcia suggerita dalla telefonata anonima, in linea teorica il cadavere di Pegus Baita avrebbe dovuto essere adesso nelle mani di Les (o più probabilmente di qualcuno che lo aveva anticipato) e poteva essere destinato ad arrivare presso il dottor Latimer. Quella sarebbe stata la mia prossima tappa. Occorreva perciò conoscere il recapito di questo tizio. Detti un’occhiata all’orologio: le sette e venti. Senz’altro l’ispettore Mini era ancora in ufficio: lui avrebbe potuto darmi qualche dritta interessante. Vedete, io e l’ispettore Mini siamo amici da lungo tempo e in gioventù avevamo diviso buona parte dei medesimi corsi di avviamento alla professione poliziesca. Ben ricordo ancora quello stage denominato “Inseguimento del criminale nella fitta boscaglia”; lui bocciò alla prova pratica e difatti lo si smarrì per circa quattro giorni nelle aggrovigliate foreste dello Zinzeshire… Che storie avrei da raccontarvi!
     Dissi a Tegolo che avevo bisogno di fare una telefonata, che mi sarei allontanato qualche minuto e che sarei presto tornato per fargli altre domande su tamburi, cembali e percussioni varie. Quando uscii in strada mi parve tuttavia appropriato fare prima una veloce capatina nella palazzina sopra il negozio per dare un’occhiata ai piani superiori ove risiedeva Pegus Baita. Infilai nel portone accanto all’entrata della bottega delle grancasse e salii le scale su fino al pianerottolo del primo piano: una finestra dava su Via Spruce; mi affacciai e vidi la Scaberwilly proprio sotto di me. Controllai poi le targhette in ottone sulle due porte del pianerottolo. Una recava la scritta ‘Baita’. Bene, ora che avevo appurato la veridicità dell’informazione che voleva il fachiro dimorare proprio sopra il negozio, potevo tornare giù in strada… Ma, ohibò! Sull’uscio di Baita vidi chiaramente i segni di una violenta effrazione. Santa Madonna! La porta era infatti solo socchiusa; mi bastò spingerla perché si aprisse e penzolasse sbilenca dai cardini.
     “V’è qualcuno?”, gridai all’interno dell’appartamento mentre tiravo fuori il revolver. Nessun rumore sospetto mi fece temere che là dentro ci fosse ancora rimpiattato l’assassino del fachiro ma era d’uopo andar cauti ugualmente. Avanzai nel bilocale con il passo breve tipico del fennec del deserto. La casa era rivoltata come un calzino e… odorava come un calzino. La finestra di camera, quella che dava sul cortiletto interno cui si aveva accesso dal solo negozio di Gropp, era parzialmente aperta e la pioggia, scrosciando a vento, bagnava persino il pavimento in parquet. Sotto al letto (di chiodi, naturalmente) scorsi un asciugamano bianco sinistramente chiazzato di rosso; con la punta della pistola lo slargai per vederci meglio e nel distenderlo notai chiaramente un grosso foro nella stoffa dai bordi bruciacchiati e una significativa macchia di sangue. L’omicida, per evitare che qualcuno potesse udire lo sparo, aveva senz’altro avvolto la sua rivoltella in quel panno prima di freddare il povero Pegus. Che freddezza! Chi aveva ucciso Pegus Baita? E l’assassino (questo più a titolo di curiosità), prima di ucciderlo, lo aveva anche torturato? Ah no, già… Era un fachiro, le torture gli avrebbero fatto il solletico… La cosa difficile da far quadrare era che la confusione di quell’appartamento non pareva il frutto di una colluttazione; semmai mi suggeriva l’idea che il killer dopo aver fatto fuori il fachiro e averne lasciato cadere il cadavere nel cortiletto dabbasso si fosse poi messo a rovistare fra i di lui averi per trovarvi chissà che cosa. Ma neppure così funzionava perché se i fatti fossero andati realmente in tal guisa, come si poteva credere che il Baita non avesse reagito in alcun modo mentre quel porco dell’assassino forzava la serratura di casa sua con un piede di porco? Che cosa faceva nel frattempo? Dormiva? Si calava beatamente qualche scimitarra nell’esofago? Si perforava serenamente i lombi con qualche spillone? Era difficile pensare che se ne stesse lì tranquillo in casa ad attendere che quel forsennato gli buttasse giù la porta. No, qualcosa mi diceva che il furto (o il tentativo di furto) avvenuto nella dimora del fachiro era cronologicamente da collocarsi dopo l’omicidio del Baita. Ed era stato compiuto da un terzo incomodo. Stai a vedere che qui c’era lo zampino di quel Roller a cui accennava la telefonata misteriosa che avevo ricevuto io quella sera. Ricapitolando: l’assassino, ovvero il furfante che avevo intercettato casualmente al telefono, conosceva senza dubbio Baita e per entrare nel di lui appartamento non aveva avuto nessun bisogno di forzare la porta perché il fachiro gli aveva aperto di sua sponte; dopo aver fulminato il povero Pegus l’uccisore aveva gettato il cadavere giù dalla finestra nella corte interna, aveva telefonato a me (pensando però di parlare ad un suo compare, un certo Les), infine si era dovuto eclissare in tutta fretta, pare per depistare un rivale, tale Rocco Roller; a questo punto nell’appartamento si era introdotto un nuovo personaggio (molto probabilmente il Roller di cui sopra) che aveva sfondato la porta ed aveva messo sottosopra la mobilia e gli effetti personali del fachiro alla ricerca di chissà quale tesoro. Quelle due stanzette erano state setacciate palmo a palmo e io non vi trovai niente d’interessante per la mia indagine. Di certo, dando l’ultima occhiata a quel bilocale, potei affermare con certezza che Pegus non era morto... invano. Era morto in... due vani, infatti. Spensi tutte le luci che avevo acceso, riaccostai un po’ alla meglio l’uscio di casa Baita e me ne tornai giù in strada.

(...continua...)



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