venerdì 27 gennaio 2012

ZINGO n° 3 "Grosso guaio a Giudatown" (5a parte)

(...segue...)

     Il mattino seguente finalmente non pioveva anche se il cielo rimaneva cupamente grigio.
     Al chiosco dei giornali di Via Burdisso la locandina del Gazzettino di Giudatown diceva a caratteri cubitali: “Trovato il cadavere di un fachiro”. Poi, sotto, più piccolo: “Chi ha ucciso Pegus Baita? La polizia brancola nel buio”. Me ne assicurai una copia e divorai l’articolo in un baleno. Il Gazzettino non lesinava particolari: il corpo di Pegus Baita era stato ritrovato presso l’imbarcadero della baia di Blue Dendalon da un pescatore di sarde; il cadavere era appeso ad uno dei pali d’ormeggio. Ometterei volentieri il dettaglio successivo se solo non fosse stato decisivo per lo sviluppo dell’indagine (me ne scuso con i molti bambini che leggono le mie avventure): bene, Pegus Baita era stato ritrovato completamente sbudellato. Ecco, l’ho detto. Il caso era stato affidato all’Ispettore Ottanio (ottimo: questo mi forniva un bel vantaggio sui piedipiatti giacché Ottanio era sì meticolosissimo, ma era anche una certificata ‘capa tosta’). La scientifica stava lavorando alacremente ma per adesso poteva solamente garantire che il Baita era morto per un ravvicinato colpo d’arma da fuoco alla nuca, che l’omicidio del fachiro non era avvenuto sul luogo del ritrovamento del cadavere, che il decesso lo si doveva far risalire a molte ore prima e infine che lo sventramento della salma era stato eseguito da mani espertissime, condotto con precisione chirurgica. Ultimo tassello: nella tasca dei pantaloni del Baita erano stati trovati un medicinale sigillato (una confezione di CATARROLUX, serve per curare infezioni delle vie respiratorie) e un biglietto con un altro messaggio scritto a pennarello: “PEGUS BAITA HA AVUTO UN PO’ DI BRONCHITE”. A chiusura del suo servizio il giornalista non risparmiava la solita, maliziosa sferzata agli inquirenti: “Comunque, la polizia brancola nel buio”. Mi sembrava che l’autore dell’articolo soddisfacesse molte curiosità e che affrontasse bene l’argomento; sì, lo sviscerava proprio ben… uh! Pardon! L’anima di Pegus Baita mi perdoni la gaffe…
     Bene: se la polizia brancolava nel buio, lo Zingo cominciava a vederci piuttosto chiaramente. Dunque: gli Abbatecola si servono delle capacità del fachiro Baita per nascondere una partita di rubelliti di dubbia provenienza. Poi qualcosa va storto quando il Baita prende accordi segreti con i rivali della ganga di Vanv e così il clan decide di farlo fuori. Per recuperare la refurtiva si affida poi all’esperienza del dottor Latimer, chirurgo di triste fama. Il Latimer seziona lo stomaco del fachiro (perdonate i particolari ma sono necessari) e rientra in possesso delle rubelliti.
     L’ispettore Ottanio stava magari ancora dietro alle impronte digitali sulla confezione di CATARROLUX trovata nella tasca del compianto Baita mentre io in tasca avevo già mezza soluzione del caso.
     Quelle riflessioni mi accompagnarono fino a Mambo Square e mi portarono di nuovo davanti al Fox Trot Pub. Prima di riprendere possesso della Scaberwilly mi dissi che sarebbe stato opportuno rifocillarsi con una degna colazione. Entrai nel pub e mi sedetti allo stesso tavolo vicino alla vetrata dove ero stato la sera prima. Mi feci servire un pezzo di torta ai pinoli e una tazza di caffè fumante, quindi mi predisposi alla risoluzione dell’enigma dei messaggi rinvenuti a fianco dei cadaveri. Che cosa potevano significare? Erano forse battute umoristiche? Difficile crederlo, giacché la mala non usa l’ironia; non allude, non ammicca, non gioca coi doppi sensi… sì, ecco, semmai alla doppiezza la mala preferisce la doppietta.
     IL DOTTOR LATIMER SI E’ SGANASCIATO DALLE RISATE” e “PEGUS BAITA HA AVUTO UN PO’ DI BRONCHITE”: li lessi e li rilessi, li scomposi, li intrecciai e li capovolsi, ma solo dopo un’ora e venticinque minuti di fitti anagrammi arrivò una di quelle intuizioni che fanno di me il più meglio investigatore privato di tutta Giudatown o, se preferite, una di quelle intuizioni che da sempre si divertono a negarsi quando (ad esempio) uno come l’ispettore Ottanio le va cercando. Insomma, all’improvviso capii. Le parole-chiave contenute nei messaggi erano due: “SGANASCIATO” e “BRONCHITE”. Ma certo! Come si chiamavano infatti i due sgherri del clan degli Abbatecola che Eva Margutte aveva ultimamente visto spesso assieme a Pegus Baita? GANASCIA e Larry BRONCO detto ‘Tartaglia’. I due messaggi erano dunque la firma degli assassini. Un po’ come fanno i cani quando, pisciando, intendono marcare il proprio territorio, così anche certi malavitosi usano contrassegnare i loro misfatti e le loro efferatezze. Come accade anche a me, del resto: ogniqualvolta risolvo un caso mi piace gridarlo ai quattro venti. Insomma, bisogna capirli questi professionisti del crimine.
     Il cameriere che mi aveva servito la colazione giunse d’un tratto a ridestarmi dallo stato di trance in cui ero caduto, tanto ero immerso nei risvolti dell’indagine: “Signore, mi scusi. La desiderano al telefono”.
     “Desiderano me? Ci deve essere un errore”. Chi diavolo poteva cercarmi al Fox Trot Pub?
     “Non credo. Mi è stato espressamente chiesto di parlare col… signore con baffi, occhiali e spolverino, seduto al tavolo vicino alla vetrata. A dire il vero non hanno proprio detto ‘signore’, ecco…”.
     “Ah sì? E come mi avrebbero chiamato?”.
     “Be’… non so se…”, faceva il cameriere imbarazzato.
     “Su, su, coraggio”.
     “Hanno detto: il ‘citrullo’ con baffi, occhiali e spolverino, ecco”.
     Detti un’occhiata al di là del vetro: dall’altra parte di Mambo Square c’era una fila di telefoni pubblici. Tutti occupati: era senz’altro da lì che qualcuno mi teneva d’occhio. Bene. Mi feci condurre all’apparecchio del locale, deciso a farmi rispettare. Presi la cornetta e esordii con asprezza: “Pronto?”. Sì, non è un attacco di quelli che fanno tremare le gambe ma tenevo in serbo le parole forti per dopo.
     “Que-que-que…”.
     “Ehi! Chi è che fa il verso dell’anatra?”.
     “Que-que-questa è una tel-tel-telefonata ano-ano-anonima, bas-bas-bastardo!”.
     “Larry Bronco detto appropriatamente Tartaglia, che cosa vuoi da me?”.
     “Caz-caz-cazzo! Come hai f-f-fatto a ri-ri-riconoscermi?”. Poco fa dicevo che la malavita non usa l’ironia e vi giuro che quella era del tutto involontaria. Sì, posso assicurarvi che quel poveretto non voleva fare lo spiritoso ed era in buona fede. Anche se era della mala.
     “Semplice intuizione”, risposi. Non mi andava di umiliarlo.
     “As-as-ascolta, str-str-str…”.
     Provai ad imbeccarlo: “Strepitoso?”.
     “No. As-as-ascolta, str-str-str…”.
     Tentai ancora di aiutarlo: “Strabiliante?”. D’altronde parlando di me quelli erano gli aggettivi che mi sembravano più appropriati.
     “No. As-as-ascolta, str-str-str…”.
     Pativo sinceramente per lui: “Stratosferico?”.
     “No. As-as-ascolta, stronzo!”. E ti pareva! “Dove hai me-me-messo le nostre ru-ru-rubelliti?”.
     Ma erano tutti fissati col sottoscritto, perdiana! Ma, un momento! Com’era possibile che Tartaglia e Ganascia reclamassero il bottino da me, quando già avevano ucciso due persone per entrarne in possesso? Il cervello mi stava andando in ebollizione… Sentii una voce in sottofondo suggerire al mio interlocutore: “Digli che se non ce le rende entro stasera può considerarsi un uomo morto”.
     E Tartaglia ubbidiente: “Se non ce le re-re-rendi entro sta-sta-sta…”.
     Mi ritenni in dovere di provare ad ottimizzare la comunicazione: “Senti, Tartaglia. Forse è meglio se mi passi il tuo compare. Non vorrei finiste i gettoni”.
     Un attimo dopo ebbi modo di ascoltare la stessa voce bassa che due giorni avanti aveva dato il via a tutta quella vicenda: “Non fare il furbo con noi, demente”.
     “Toh! Chi non muore si risente, eh Ganascia?”.
     “Ma chi sei, brutto pezzo di merda? Come fai a conoscere il mio nome?”. Evidentemente non sapeva di parlare con colui che aveva intercettato la sua telefonata di martedì sera a Les Ciattanuga. Proseguendo fu proprio lui a suggerirmi una pista percorribile: “Tanto l’abbiamo già capito: sei uno della mafia di Burgos”.
     Anche se il giorno prima ero stato scambiato per un emissario di Peter Fauna, mi dissi che era bello anche variare: “Sei perspicace, Ganascia. Sono Fausto Kazz e appartengo proprio alla mafia di Burgos che, secondo me, è anche la migliore mafia oggi in circolazione. Quindi ti conviene parlare con il rispetto che si conviene”.
     Dopo un attimo di incertezza, lo scagnozzo del clan degli Abbatecola disse: “Ok, Kazz. Sappiamo che le nostre rubelliti le hai tu. Dicci pure cosa vuoi in cambio, ma devi darcele indietro in tutti i modi”.
     Forse mi conveniva davvero farglielo credere: era l’unica maniera per non essere fatto secco. Pertanto dissi con tono sprezzante: “Calma, ragazzo. Tu e Tartaglia dovrete frenare la vostra ingordigia. Prima voglio sapere com’è che siete sulle mie tracce”.
     Ganascia esitò, poi principiò: “Abbiamo i nostri informatori. Quello che non capisco è come la mafia di Burgos sia stata così tempestiva nell’intervenire… Sembra quasi che una talpa vi abbia avvertito… Sei stato visto due giorni fa piuttosto indaffarato in Via Spruce, nell’appartamento di un fachiro di nostra conoscenza. C’è chi ti ha beccato ieri all’alba nel Trentadindos, in Viale Barracuda, mentre ti introducevi in casa dell’ormai defunto dottor Latimer. Qualcun altro poi assicura di averti incrociato ieri sera dalle parti di Farf Road, nel Bar Abba dove hai fatto di tutto per non passare inosservato”. Perdiana! Giudatown è davvero quel covo di spioni di cui si parla un po’ dappertutto! Ganascia insistette: “Ringrazia Dio se chi ci ha passato queste notizie è pagato solo per fare appostamenti e non può prendere iniziative. Se io e Tartaglia non fossimo stati occupati altrove e avessimo potuto agguantarti per tempo, saresti già sul fondo del limaccioso fiume Spinace con un’ancora da transatlantico legata al collo”.
     “Già. E sul fondo del limaccioso fiume Spinace ci sarebbe con me anche l’unica possibilità che avete di ritrovare le vostre rubelliti”.
     Ganascia si morse il labbro. Cioè, non posso dirlo con certezza perché non lo vedevo, ma lo dedussi dalla pausa che fece. Poi disse: “Dicci quanto vuoi”.
     Che soddisfazione tenere in pugno gente di malaffare come quella! Dettai dunque le mie condizioni: “Le rubelliti sono al sicuro per adesso. La mafia di Burgos vi farà sapere quanto prima. Forse addirittura in giornata lascerò un messaggio per voi al Bar Abba. Siete di casa lì, no?”.
     “Certo”.
     “Bene, recapiterò le istruzioni a quel cretino di Clancy. Un’ultima cosa: con Rocco Roller come la mettiamo?”.
     “Come diavolo fai a sapere tutte queste cose, dannato Kazz? La mala di Don Ceppo ce l’ha messo alle costole fin dall’inizio di questa storia. Se non era per quel cane rognoso sarebbe andato tutto liscio e da Kiko Puntar le rubelliti sarebbero arrivate direttamente in mano nostra… Be’, comunque, contiamo di eliminare Rocco Roller entro un paio di giorni…”.
     “Ok. A presto”.
     Appena riattaccai la cornetta corsi al mio tavolo e dal vetro guardai verso i telefoni pubblici: ebbi solo il tempo di vedere un’auto scura chiudere velocemente gli sportelli e partire con una sgommata in gran stile.

     Come al solito, nei momenti più difficili di ogni buona indagine, occorreva prendersi una sana pausa meditativa. Fu così che, secondo un’abitudine vecchia di quand’ero ragazzino, me ne andai a tirar sassi al laghetto di Point Giabé. E’ un’attività che da sempre stimola l’acutezza del mio intuito investigativo. Point Giabé, come voi tutti sapete, è una ridente località della campagna che circonda la parte sud-orientale di Giudatown; lanciare i sassi nel laghetto mi serviva ad ottenere la massima concentrazione circa i casi che stavo risolvendo. Come diceva quel proverbio che mi ero inventato di sana pianta: “Allorché lo Zingo si reca a Point Giabé a tirar sassi, scampo non v’è più per ladri, furfanti e satanassi”. Comunque non sceglievo i ciottoli piatti, fini e di modeste dimensioni per poi farli saltellare sul pelo dell’acqua fino al centro del laghetto o giù di lì. No, tutt’altro. La concentrazione potevo raggiungerla solo attraverso un  metodo più rudimentale: arrivavo al laghetto, posavo il mio spolverino sulla sponda, indi sceglievo i pietroni più consistenti e li lanciavo in acqua a due mani; era proprio lo stonfo del pilloro che mi dava soddisfazione, quel PLUNF sordo che rompeva regolarmente il silenzio e la quiete di Point Giabé. Così feci quella tarda mattinata, dopo aver recuperato la Scaberwilly ed aver compiuto diverse assurde deviazioni per assicurarmi di non essere seguito da nessuno.
     Una volta arrivato al laghetto, stessa procedura di sempre: mi appropinquai alla riva, tolsi lo spolverino, individuai il primo sasso e via: PLUNF!
     Oh, dunque: s’imponeva a questo punto dell’indagine un confronto tra le parti.
     PLUNF!
     Se riuscivo a radunare tutti assieme i protagonisti di quella fosca vicenda, analizzarne i reciproci comportamenti...
     STCHLAFF!
     ...studiare le relazioni che intercorrevano tra i vari gruppi malavitosi, con tutta probabilità sarei riuscito a farmi un quadro generale più preciso. E allora giù, un altro masso in acqua!
     PLUNF!
     Qui v’era qualcuno che non la contava giusta; chi stava barando al gioco? Chi voleva fregare chi?
     STPLUMFF!!
     “Oooohhh!!”, sentii vociare alle mie spalle.
     Mi voltai e vidi sortire dal canneto a lato un omaccione con grande buzza, grande bazza, grande stazza, cosce grosse e calosce rosse. Il tale pareva imbestialito e i suoi occhi accigliati mi misero subito sul chi va là. Infatti dissi: “Chi va là?”.
     E quello, venendomi fin sul viso con fare assai minaccioso: “L’abbozzi o no di farmi scappare le tinche?”.
     “Prego?”.
     “E’ mezz’ora che sto cercando di pescare qualche tinca di là dal canneto. Ma con te che ti metti a far baccano con quei sassi…”.
     “S-sì, salve… Il mio nome è Zingo, Dino Zingo. Sono un investigatore privato e sto tirando i sassi perché mi aiuta a risolvere un caso davvero spinoso…”.
     “Ascolta, cretino: se non la smetti immediatamente ti sfondo il capo con un cazzotto”.
     Come negare un favore ad un personaggio tanto schietto? Ma soprattutto: come negare un favore ad un gigante alto due metri? Affare fatto: me ne andai zitto zitto.
     Tuttavia, la quiete di Point Giabé aveva dato i suoi frutti e già un abbozzo circa il da farsi adesso v’era. Poi più tardi, mentre rientravo in città con la Scaberwilly, mi venne l’ispirazione finale ripensando ad un vecchio film con Johnny Flint, ‘L’uomo dalla mano mozza’. Nella sequenza conclusiva di quella gloriosa pellicola il protagonista (un Flint strepitoso), dopo aver ricorso ad uno sfrenato doppiogioco con i suoi aguzzini, si trova a dare un appuntamento finale a tutti gli avversari che aveva via via accumulato nel corso del film. Ebbene l’epilogo ha luogo in un porto oramai in disuso: Flint fronteggia con la consueta classe i suoi avversari in un drammatico scontro che sfocia poi nell’epica sparatoria risolutiva. Sì, va bene, chi ha visto il film sa che Johnny Flint ci rimane secco al primo colpo (mica è facile sostenere una sparatoria se la mano buona è proprio quella, da qui il titolo del film, che ti hanno mozzato nella scena iniziale del lungometraggio!) ma a questo punto la decisione era presa: la ganga di Vanv, il clan degli Abbatecola, Rocco Roller e lo Zingo si sarebbero dati adunanza per la decisiva resa dei conti nel Molo di Frombole, l’antico porto di Giudatown caduto pressoché in rovina dopo la costruzione dell’avveniristico Port Glan.
    
     Verso l’ora di cena ero di nuovo nell’Old Begallus. Principiai col recarmi al Bar Abba dove intendevo lasciare al barista Clancy un’informazione per Ganascia e Tartaglia.
     Quando entrai in quella vaporiera, v’erano molti meno avventori rispetto alla sera dell’esibizione di Eva Margutte. Raggiunsi il bancone e quando stavo per richiamare l’attenzione di Clancy, una mano mi agguantò bruscamente la spalla e una voce bassa mi gracchiò all’orecchio: “Spero tu abbia portato con te le rubelliti, brutto stronzo”.
     Mi voltai: era Ganascia.
     Gli dissi: “Non faccio consegne a domicilio. Non qui, perlomeno. Ma siamo vicini alla meta, caro Ganascione”.
     “Diavolo, la stai portando troppo per le lunghe! I miei capi non hanno intenzione di aspettare ancora...”.
     Lo interruppi: “E invece dovranno pazientare ancora fino a domani”.
     “Domani?”, chiese lui bramoso.
     “Sì, ci siamo. La mafia di Burgos, di cui sono – te lo ricordo – socio fondatore, è decisa a trattare la consegna. Mi ha dato mandato di stabilire un abboccamento. C’incontreremo domani alle 8 di sera presso il Molo di Frombole: io, tu, Tartaglia e nessun altro. Non pretendiamo nessun riscatto in soldi, ma soltanto alcuni accordi”.
     “Di che genere?”.
     “Mordi il freno, guappo. Saprete tutto domani sera”. In effetti non mi ero preparato a dovere sui dettagli di quella combine, dunque era meglio rimanere sul vago e cambiare discorso: “Insomma, qui come si va? Tartaglia? Dov’è andato di bello?”.
     “Di’ un po’, Kazz: credi di essere a casa tua? Se non ti faccio staccare la testa da Clancy è solo perché attraverso le tue informazioni possiamo rientrare in possesso delle rubelliti che ci spettano. Per il resto ti conviene girare alla larga da me e dal mio clan”.
     Mi finsi del tutto imperturbabile: “Siamo un po’ nervosi, mi pare... I tuoi superiori ti stanno col fiato sul collo, eh?”.
     “Già. Occorre che domani sera tutto vada a buon fine, altrimenti...”.
     “Per voi si mette male, non è così?”.
     “Anche per te, coglione, puoi giurarci”.
     Prima di andarmene volli tuttavia interloquire ulteriormente col Ganascia: “Un’ultima cosa, prima di levare le tende: se Baita non avesse preso accordi sottobanco con quelli di Vanv sarebbe ancora vivo?”.
     “Pegus era un collaboratore ideale, prima che si montasse la testa. Per anni ha servito la causa con grande fedeltà. Dio, nella sua pancia ci abbiamo ‘parcheggiato’ di tutto! Corindoni, rubelliti, droga, documenti, fasci di banconote, monili antichi... E si è sempre accontentato della sua parte, senza mai fare storie. Stavolta, invece, si è fatto abbindolare da quelli della ganga... Chissà per quali false promesse si è venduto... Quelli di Vanv, prese le rubelliti, lo avrebbero senz’altro tolto subito di mezzo. Con noi invece poteva stare tranquillo: ingoiava la merce e poi, a tempo debito...”.
     “Magari con l’aiuto di un vassoio di prugne, eh Ganascia?”.
     “Non ho mai assistito al recupero della roba. Di certo posso dire che il Baita non ha mai accumulato ritardi nelle consegne”.
     “Intestino regolare, devo ritenere...”, soggiunsi. Era giunto il momento del commiato: “Bene. Mi tratterrei volentieri qui al Bar Abba, ma ho diverse faccende da sbrigare. Ci vediamo domani sera alle 8 al Molo di Frombole per sistemare definitivamente questa vicenda”.
     Feci l’atto di voltarmi verso l’uscita, quando Ganascia mi afferrò per un braccio e, fissandomi gelido, mi disse: “Ricordati, Kazz: chi fa il furbo con gli Abbatecola…”.
     “Sì, lo so: alla fine s’impegola”.
     “No. Alla fine muore”. Capii che i gangster dell’Old Begallus non gradivano le rime baciate. Tuttavia esprimevano i loro concetti piuttosto chiaramente.
     Una volta fuori del Bar Abba, camminai lentamente per strada, tenendomi bene in vista lungo il marciapiede, sostando più volte e volgendo spesso la faccia alla strada; sapevo infatti che il Picciotto e il Piccione piantonavano tutta la zona nei dintorni del bar e volevo che... casualmente mi agganciassero onde poter riferire anche loro gli estremi dell’appuntamento al molo. Giusto il tempo di oltrepassare l’incrocio con Rue della Pizza quand’ecco che due secchi colpi di clacson mi fecero voltare all’indietro: parcheggiata lungo il marciapiedi dalla parte opposta della strada una Pirrowet color canna di fucile mi sfareggiò con gli abbaglianti. Attraversai di corsa e m’infilai direttamente nella macchina degli amici vanveri sul sedile posteriore. Il Picciotto e il Piccione, seduti davanti, mi accolsero con una certa sorpresa: “Chi non muore si rivede, eh Kazz?”.
     “Già. E se fossi morto, oltre a non rivedere più me, mi sa tanto che non rivedreste neppure una sola delle vostre amate rubelliti”.
     “Vedo che ti muovi con grande facilità in questa zona”, mi fece Otto il Picciotto con tono lievemente sospettoso. “Non sapevo che gli emissari di Peter Fauna potessero scorrazzare tanto liberamente da queste parti”.
     “Infatti è cosi. Ma nei miei confronti, visto che sono nato in questo quartiere, c’è una certa benevolenza... Con molti farabutti del clan degli Abbatecola siamo stati ragazzi insieme... Se poi le scelte professionali mi hanno portato a firmare un contratto col Fauna, questo è un altro discorso...”. Una puttanata dietro l’altra! “Comunque, ragazzi”, ripresi brusco, “ho buone notizie per voi. Avrete senz’altro saputo che il Baita ci ha lasciato le penne. Dispiace a tutti, ma è così. Bene, il fachiro però non è stato fatto secco dagli Abbatecola; per un caso piuttosto fortuito a metter le mani sul povero Pegus, e quindi sul suo prezioso ‘contenuto’, è stato un tale Rocco Roller che lavora per la mala di Don Ceppo”.
     “Sì, lo conosciamo quel dannato segugio! E’ dall’inizio di questa storia che si è messo tra i piedi! Fottuto bastardo!”; il Picciotto colpì violentemente lo sterzo con un pugno carico di rabbia.
     E qui piazzai a quei due babbalei la panzana dell’anno: “Non vi sembrerà vero, ragazzi, ma oggi pare essere il vostro giorno fortunato. Chi era il compagno di banco di Rocco Roller alle scuole elementari?”.
     Mutismo assoluto e sguardi che dimostravano scarso intuito.
     “Chi era?”, chiesi paziente per la seconda volta. “Ebbene, sì. Il compagno di banco che per tutta la carriera scolastica passò al Roller i compiti, che sempre gli suggerì durante le interrogazioni, che imparò a falsificare la firma del di lui babbo sul libretto delle giustificazioni, ebbene altri non era che Fausto Kazz il secchione, ovvero io. Eehh, bei tempi!”.
     “E allora? Che significa?”, chiesero in coro i due sempliciotti.
     “E allora significa che Rocco Roller, da buon amico, incontrandomi casualmente oggi a pranzo mi abbia passato l’informazione: siccome la mala di Don Ceppo non smercia rubelliti, lui ha tutta l’intenzione di trovarsi a titolo personale un acquirente e ricavarci moneta sonante; conosco Roller, non è tipo di grandi pretese, sa accontentarsi... Mi sono permesso di suggerirgli l’ipotesi di qualcuno che sarebbe interessato al bottino: ho pensato a voi, ragazzi, sebbene mi sia guardato bene dal fare nomi”.
     “Hai fatto la cosa giusta, Kazz. Ma le rubelliti noi non le vogliamo pagare, le vogliamo e basta”. Insaziabili questi vanveri, perdìo!
     Era il momento di gettare l’esca: “Questo non è affar mio. Se vi interessa, sappiate che io ho un appuntamento con Rocco Roller presso il Molo di Frombole alle 8 di domani sera in punto. Gli ho detto che avrei fatto da intermediario tra lui e un paio di compratori che per il momento preferivano rimanere anonimi”.
     “Mm... interessante”, gongolò il Picciotto.
     “Io vi do questa opportunità. A Peter Fauna – lo sapete – questi affari non interessano, lui gestisce altre attività. Magari, se le cose per voi andassero a buon fine e il ‘trappolone’ ai danni di Roller dovesse fruttarvi ottimi risultati, Peter avrebbe piacere – sono parole sue – ‘a intavolare un discorso di collaborazione con gli amici di Vanv’”.
     “E cioè?”, s’informò il Piccione.
     “Tutto a tempo debito. Per adesso preoccupiamoci che domani sera al Molo di Frombole tutto vada per il verso giusto. Poi brinderemo tutti assieme: voi e la vostra ganga, Peter Fauna e io. Siamo d’accordo?”.
     Tesi in avanti la mia mano destra.
     Passò qualche istante ma alla fine, dopo un’occhiata d’intesa, sia il Picciotto che il Piccione me la strinsero con una certa convinzione. Secondo me, tuttavia, la loro golosità gli faceva già programmare il modo in cui, una volta entrati in possesso delle rubelliti, si sarebbero dovuti sbarazzare anche del sottoscritto per non scendere a nessun tipo di patto col Fauna. Glielo leggevo negli occhi cupidi e bramosi.
     “Un’ultima cosa, Kazz: che ci facevi al Bar Abba poc’anzi?”, chiese il Piccione.
     “E’ una domanda pertinente, vecchia volpe di un Piccione. Mi sono intrattenuto con Ganascia del clan degli Abbatecola. Senza sembrare troppo invadente, ho voluto capire quanto realmente sapesse circa la sorte delle rubelliti”.
     “Ebbene?”.
     “Niente. Non ha il minimo sospetto che dietro a tutto ci sia il segugio Rocco Roller. Per lui quella sacchettata di gemme preziose è svanita nel nulla. Certo, non l’ha presa bene. Era lì che ciondolava al bancone del bar, aggrappato ad una boccia di whisky e parlava assai controvoglia”.
     Prima di uscire dalla Pirrowet, chiesi infine: “Allora? Vale la pena mettersi in affari con Fausto Kazz?”.
     “Ci vediamo domani sera alle 8 al Molo di Frombole. Niente scherzi”, rispose il Piccione. Poi, appena fui sceso, filarono via lungo Farf Road.
     Sulla presenza di Rocco Roller al Molo per il giorno dopo invero non avevo grossi dubbi: sapevo che il segugio era attaccato alle sottane di Ganascia e Tartaglia e non li perdeva di vista nei loro spostamenti più importanti. Perlomeno di lui non dovevo curarmi. Sapevo insomma che, a meno che non fosse per davvero entrato in possesso delle rubelliti, sarebbe venuto a reclamarle direttamente all’appuntamento.

(...continua...)


Nessun commento:

Posta un commento