domenica 15 gennaio 2012

ZINGO n° 2 "Il grizzly d'alta montagna" (2a parte)

(...segue...)

     Siccome durante il resto della prima giornata a Bubba Mountain non successe nient'altro di rilevante, preferisco sorvolare direttamente fino alla mattina seguente, mattina in cui intendevo inaugurare ufficialmente l'inizio delle mie indagini. Intendevo, ho detto. Sì, perché nella realtà successe invece che, pur lasciando l'albergo estremamente convinto e determinato, fui subito colto da un'incontenibile invidia nei confronti dei tanti turisti che affollavano Bubba Mountain di prima mattina accalcandosi, sci in spalla, presso gli impianti di risalita e preparandosi ad un'intera giornata di sport e divertimento. In effetti tutto l'entusiasmo che avevo accumulato per l'indagine scemò di colpo. Così, senza star troppo a pensarci, noleggiai presso un negozietto un bel paio di sci, un bel paio di scarponi e un brutto paio di racchette (devo dirlo, queste erano davvero d'infima marca: Cucchi, per l'esattezza; a dire il vero non l'avevo mai sentita). Ovviamente misi tutto sul conto dei contribuenti di Bubba Mountain, anche il prezzo del giornaliero. Che c'è di male? Io gli vengo quassù a risolvere il caso degli animali scomparsi e loro non mi permettono nemmeno una sciatina scacciapensieri? E poi, pensai, che male c'è a ritardare di qualche ora l'inizio delle indagini? Il soggiorno era di mio altissimo gradimento: prolungarlo il più possibile non avrebbe fatto altro che giovarmi alla salute e al buonumore. L'importante era che non mi beccasse sulle nevi il sindaco Dende. Così m'ingruppai in una folta schiera di tedeschi, salii sulla prima funivia che vidi e già a metà mattinata ero in mezzo alla montagna più candida e innevata che avessi mai visto. “Quanta allegria! Che pace! Ma come si sta bene quassù a Bubba Mountain!”, dissi più volte ad alta voce. Sciai in modo meraviglioso e, se non m'inganno, mi parve di vedere parecchi turisti fermarsi a guardare nel dettaglio il mio stile di discesa. Ecco, sono piccole soddisfazioni, ma molto significative. Tutto stava andando alla perfezione fino a quando, giacché intendevo rifare la stessa pista che avevo appena concluso, decisi di risalirla con lo ski-lift; infatti a un tratto, mentre mi lasciavo tranquillamente trasportare a monte, una voce familiare suonò alle mie spalle: “Zingo!”.
     Ohibò! Torsi il collo all'indietro per quanto mi fu possibile e chi ti scorgo, aggrappato allo ski-lift appena dietro di me? Proprio lui, il sindaco Dende!
     “Ohilà, sindaco!”, feci con grande imbarazzo. “Cosa ci fa da queste parti?”.
     “Scìo, perdìo! Piuttosto cosa ci fa Lei qui?”.
     Ero davvero alle strette, ma non confessai il mio atto di scarsa professionalità. Piuttosto ebbi una grande pensata: “Ssssttt, Dende! Mi vuole forse mandare all'aria tutti i piani? Non lo vede che sto seguendo una pista importante?”.
     “Io vedo solo che Lei la pista se la sta soprattutto sciando!”.
     “Ssssttt, le ho detto. Sto solamente facendo finta di essere uno sciatore”. Parlare col Dende, che mi era alle spalle, mi costava oltretutto una grossa fatica. “E' da stamane che sto pedinando un tipo sospetto: senz'altro egli sa molte cose circa le sparizioni degli animali”.
     “E chi sarebbe?”.
     Troppo curioso il sindaco, perdiana! Va be', una risposta dovevo pur dargliela: “Ssssttt, non gridi: è... è... è quello là; quello col berretto rosso, tre posti più avanti”.
     “Aahh, sì, sì, lo vedo. Quando gli zompiamo addosso, Zingo?”.
     “Sono questioni di mia esclusiva competenza, Dende. Mi ci è voluta una mattinata intera per essergli finalmente alle calcagna e non posso buttare all'aria tutto proprio adesso. Si fidi di me. Anzi, appena giungerà in cima allo ski-lift, mi faccia il piacere: se ne vada a sciare altrove”.
     Fu così che arrivammo alla fine del nostro bravo impianto di risalita ma il Dende di lasciare fare a me non voleva assolutamente saperne: “Le sarò al fianco in questo pazzo inseguimento, Zingo. Attaccando quel tizio da due lati avremo maggiori chances di acciuffarlo. Sì, adotteremo lo schema ‘a chele di granchio’. Uno di qua, uno di là: e quel tonchio, ovvero la preda, nel mezzo! Ah, ah, ah!”.
     Sancta Mater Dei! Il Sindaco era un testardo senza eguali. Ma quali schemi? Ma quali chele di granchio? Oltretutto l’ignaro sciatore col berretto rosso aveva già iniziato la sua discesa. Devo dire che nell’indicarlo come presunto informato dei fatti non ero stato molto fortunato: eh già, quel tizio sciava davvero bene ed andava giù in perfetto stile a sci uniti. Via, via… Non v’era tempo da porre in mezzo, bisognava buttarsi giù a capofitto pure noi.
     “Forza, sindaco! Andiamogli addosso”.
     “Sììììììììì!!!!!”, gridò il Dende alle mie spalle letteralmente impazzito.
     Così ci buttammo in discesa con grande coraggio. Nel momento in cui lo avremmo acchiappato mi sarei inventato qualcosa per giustificare l’intera sceneggiata. Intanto però c’era perlomeno da avvicinarglisi: quello filava via dritto come un fuso! Ma guardate un po’, mi dicevo, che cosa mi tocca combinare? Bah! No, peccato perché ero qui che mi godevo una serena mattinata sulla neve e quell’obeso del sindaco mi costringe invece a fare le corse! Cose da pazzi! Anzi: corse da pazzi! Eh, eh, bello questo gioco di parole, eh, eh…
     “Forzaaa, Dendeee!!! Giù, a rotta di collooo!!!”. E poi a quel dannato in fuga: “Ormai sei nostro, maledettooo!!!”. Questo urlavo a squarciagola durante la discesa per dare coraggio al mio compagno che senz’altro mi stava in scia; in scia ai miei sci… eh, eh, buffo anche questo gioco di parole, vero? “Vaiii, Dendone!!!” (un accrescitivo simpatico, mi sembrava, per caricare il sindaco). Dannazione, però! Quel funambolo col berretto rosso doveva essere senza dubbio un maestro di sci, perché ad essere sincero io l’avevo già perso di vista! Eh sì, di lui non v’era più traccia. Niente da fare: inseguimento già finito. E adesso? Cercai di guardare all’indietro oltre la mia spalla per chiedere indicazioni al primo cittadino di Bubba Mountain, ma con grande sorpresa mi resi conto di aver fatto il vuoto: di Piotre Dende non v’era manco l’ombra. Mi fermai di colpo e rimasi in attesa. Passarono venticinque minuti; rischiai addirittura una cancrena! Dopo che praticamente tutti i turisti in vacanza da quelle parti mi furono sfilati davanti, eccoti spuntare il grasso sindaco Dende, ingobbito sui propri sci in un ridicolo e goffissimo spazzaneve. Appena mi vide, pensate, ebbe finanche la faccia tosta di sbracciarsi da lontano in segno di saluto; poi iniziò le operazioni di avvicinamento… Se guidava male, il sindaco sciava ancora peggio. E il paragone è davvero calzante: difatti, se in macchina aveva grossolanamente tamponato quel pulmino di slavi, chi poteva ora investire in mezzo alla pista? Ebbene sì, proprio il miglior investigatore privato oggi in circolazione: Dino Zingo. Lo vidi appropinquarsi con grande difficoltà e soprattutto mi accorsi (ma, ahimé, troppo in ritardo) che non riusciva in nessun modo a curvare.
     “Sci a monteee!!! Peso a valleee!!!”, cercai di gridargli nel tentativo di raddrizzarne la diagonale.
     Nulla. Il sindaco, rubicondo in volto, mi travolse con tutta la possanza della sua tozza stazza. Finimmo lontanissimi, rotolando fin nella neve fresca. Quando provai ad emergere da quel groviglio di sci e racchette, dissi al sindaco: “Piotre, che mi combina? E’ mezz’ora che la sto aspettando! Poteva perlomeno avvertirmi che è soltanto alle prime armi!”.
     Ma quello non si scompose: “Mi dispiace, Zingo. Con tutta probabilità ho fatto una scelta sbagliata per ciò che riguarda i materiali. Forse la sciolina che ho usato non si adattava bene a questo tipo di neve… E quindi ho realizzato un tempo un po’ più alto del suo!”. Alla faccia!
     Poi il sindaco proseguì: “Piuttosto: ha riacciuffato ‘Berretto Rosso’?”.
     “Macché, troppo veloc… Cioè, non mi si fraintenda: ormai gli ero addosso, ma aspettavo che Lei intervenisse dall’altro lato, come avevamo concordato. Si ricorda lo schema ‘a chele di granchio’? Invece… Niente, Lei era ancora al cancelletto di partenza, per dirla in gergo”.
     “Sì, gliel’ho detto: unicamente per un problema di materiali…”.
     “Fatto sta che ‘Berretto Rosso’ se l’è svignata in tutta serenità”.
     “Mi dispiace…”, fece il sindaco tutto mogio.
     “Già, pure a me”. Ormai dovevo pur seguitare in quella pantomima. In verità di ‘Berretto Rosso’ – esimio maestro di sci a cui faccio tanto di cappello; anzi, faccio tanto di berretto – non poteva importarmi di meno.
     “Forse, però, riesco a farmi perdonare…”, disse Dende; poi fece un sorriso da furbo che proprio non gli si addiceva. “Ho qui la lista di coloro che hanno subito i furti degli animali; me l’ha fatta avere stamattina presto il vice di Necchi”.
     “Dia qua!”, gl’intimai strappandogli di mano il foglio che stava cavando di tasca.
     Mmm… Bene, bene: c’erano tutti i nominativi dei ‘depredati’, i rispettivi indirizzi e persino gli animali che erano spariti loro. Scorsi con avidità quella lista, poi chiesi al Dende: “Sindaco, qual è stata in ordine di tempo l’ultima denuncia a pervenire presso il comando di polizia?”.
     “Non lo so”.
     “Perfetto. Vorrà dire che comincerò ad interrogare questo McTillus”.
     “Ah! Il vecchio McTillus! Come mai proprio lui?”.
     “Mi piace il nome. Piuttosto, dov’è che abita ‘sto tizio?”.
     “Si rassicuri: ce la condurrò personalmente. McTillus è un vecchio burbero e vive in una baita un po’ fuori mano. Ci andremo con la mia macchina”. Era proprio ciò che più temevo. Ma Piotre Dende non sembrava accorgersi della sua involontaria ironia, anzi rincarò la dose: “Ma adesso torniamo presto a Bubba Mountain. Giù, in discesa! Viaaa!!! Più veloci della luceee!!!”. E partì di nuovo col suo artigianale spazzaneve. Infatti, quando dopo un bel po’ arrivai in paese, mi misi comodo e con molta pazienza attesi che il sindaco mi raggiungesse: ci vollero due ore esatte. Oltretutto il Dende arrivò con un braccio ridotto alla completa immobilità, frutto (ebbe poi a raccontarmi) di una rovinosa caduta: “Non ci crederà, ma mi è venuto addosso un turista inesperto”. Infatti non ci credevo: anche perché il Dende non si era accorto che sulla sua giubba erano impigliate diverse ciocche d’abete; tutto lasciava intendere che il grasso e rubicondo sindaco fosse giunto là in fondo attraverso un non programmato fuoripista.
     “Bene”, fece tuttavia con grande stoicismo, “Ora pensiamo a McTillus. Andiamo alla macchina”.
     Dopo poco eravamo già sulla strada che ci avrebbe condotto alla nostra destinazione. Devo però dire che sul sedile di quella spartana utilitaria non ero affatto a mio agio. Il Dende manovrava il volante con una sola mano, con dipinta in volto tutta la sofferenza per le cadute della mattina, e se prima guidava male adesso guidava malissimo. Sudai freddo ad ogni curva. E ad ogni rettilineo. Insomma sudai freddo ad ogni metro del tragitto. Poi finalmente arrivammo alla dimora del McTillus e, appena il sindaco me la indicò, pensai tra me e me: “Non l’avrei mai detto! Arrivarci sani e salvi senza incidenti!”. Fui troppo precipitoso, ahimé. Purtroppo, infatti, il Dende non riuscì a frenare con il dovuto anticipo e cozzò brutalmente contro gli stipiti di casa McTillus: fu un frontale davvero tremendo e la porta della baita finì divelta. Subito apparve sulla soglia il vecchio e raggrinzito McTillus: “Chi è?”.
     Sulle prime non riuscimmo a rispondere; eravamo ancora intontiti per la grande botta. L’anziano padrone di casa disse acido: “Sindaco! Ma è Lei! Le pare questo il modo di bussare?”.
     Lesto come un giaguaro sortii dalla vettura e mi presentai al padrone di casa: “Salve. Il mio nome è Zingo, Dino Zingo. Sono un investigatore privato e voglio porle qualche quesito”. Ma quello era lì tutto preso ad armeggiare attorno alla propria porta: “Bah! Guardate qui che lavoro! Ma io domando e dico! Ma come si fa? E poi stanotte creperò dal freddo, miseria ladra!”.
     Anche il Dende riuscì ad estrarre il proprio corpone dalla macchina e si fece avanti; adesso zoppicava pure. “Lasci fare a me, Zingo”. Poi, rivolto al vecchio: “Suvvìa, McTillus. Le manderò tosto Gunter, il falegname, e vedrà che in quattro e quattr’otto saprà lui come riaggiustarle la porta. Piuttosto, siamo qui – io e questo mio caro amico venuto apposta da Giudatown – per una questione di massima importanza e dobbiamo farle alcune domande”.
     “Mmm… Peccato perché mi stavo preparando la merenda; sì, insomma, lo spuntino del tardo meriggio…”.
     “Ah sì?”, chiese famelico il sindaco, già con la bava alla bocca, “E che cosa bolle in pentola?”.
     “Polenta, funghi, salsicce e patate lesse”.
     Hai capito il vecchio McTillus come si trattava?
     Il Dende non resse oltre: “Via, mio buon amico; a dire il vero mi dispiace interrompere il suo spuntino… Come si potrebbe fare? Bah, forse la cosa migliore è sederci tutti assieme a tavola e lì discutere serenamente. Senta: i funghi sono porcini di montagna, finferli o prataioli?”.
     Sta di fatto che di lì a qualche minuto ci trovammo tutti e tre a banchettare di santa ragione. Visto però che il Dende era troppo impegnato a ingozzarsi di primizie, toccò a me attaccare con le domande: “McTillus, qui dalle mie carte risulta che Lei è stato vittima di un furto di animali. Che cosa le è stato portato via?”.
     “Ah sì, certo. Tre polli”.
     “E quando è successo?”.
     “Mi faccia pensare… Sì, giovedì scorso, una settimana fa”.
     “E mi dica: ha forse visto in volto il ladro?”.
     “Visto in volto il ladro?? Ma, dico, Lei vive proprio fuori dal mondo! A rubarmi i polli è stato il grande grizzly. Nottetempo. Eeehh, lui sì che è un furbacchione”.
     “Ne è proprio certo? Non è che forse quei tre polli hanno fatto gola a qualche… che ne so, a qualche drogato del posto?”, buttai là a casaccio senza scoprire le mie carte da subito.
     “Drogato?? Senta: ho sempre vissuto su queste montagne. So riconoscere le orme di quella bestia infame meglio di chiunque altro e attorno al mio pollaio ve n’erano in quantità enorme. Anzi, faccia una cosa: mi segua. Le farò vedere come il grizzly ha ridotto il recinto dei miei poveri polli”. Così, mentre il Dende rimaneva curvo sul suo piatto colmo di polenta, il McTillus mi condusse fuori della baita fino ad un casotto di legno la cui porticina presentava diversi segni di forzatura: “Guardi, guardi… Guardi che cosa ha combinato con quei suoi unghielli giganti? Mamma mia!”.
     “Mmm, vedo, vedo”. Tutto invece mi lasciava intendere che con una bella badilata ben assestata attorno al chiavistello si potesse ottenere il medesimo risultato. “Adesso ascolti, amabile nonnetto: di John Necchi che cosa può dirmi?”.
     “Ahh, il Necchi! Beh, grande sceriffo, non v’è che dire!”.
     “Sa mica per caso se è un ghiottone di pollame?”.
     “Chi, lo sceriffo? Non lo so. Ma che domanda è questa?”.
     “Niente mi toglie dalla testa che il Necchi possa essersi introdotto con la forza in questo casotto e aver fatto razzia dei suoi polli, McTillus”.
     “Ah, ah, ah, ma lo sa che Lei è proprio divertente… Ah, ah, ah!”.
     Ridi, ridi, povero imbecillotto di montagna, pensai astioso. Tanto sapevo benissimo che lo sceriffo c’era dentro fino al collo. E forse questo bizzarro buzzurro lo stava coprendo… Decisi pertanto di chiudere lì con le domande a McTillus; per finire gli chiesi soltanto un’informazione: “Sa dirmi se nelle vicinanze abita qualcuno di questi tizi?” e gli mostrai la lista di coloro che avevano subito i furti. Il vecchio appiccicò gli occhietti al foglio e poi disse: “Certamente. Lungo la strada che conduce in paese, la stessa che avete fatto per venire fin qui, v’è la casa di Nanni Salonicco, un personaggio molto riservato. Mi pare gli sia stato rubato il suo amato tapiro che faceva vivere addirittura in salotto”.
     Rientrai velocemente in casa e dissi al Dende: “Via, sindaco: si riparte! Andiamo a far visita a Nanni Salonicco”.
     “Noooo!!”, fece Dende disperato.
     “Che c’è? Qualcosa contro il Salonicco, forse? Mi pare un bonaccione, a giudicare dal nome”.
     “Ma no! E’ che qui si sta divinamente… Come si fa a lasciare questa polenta? E questi finferli trifolati?”. Poi ebbe forse un ripensamento: “D’accordo, su: l’accompagnerò con la mia macchina”.
     Un brivido di terrore mi corse lungo tutta la schiena: “Non importa, sindaco. E’ giusto che del caso me ne occupi io in prima persona. Lei rimanga pure qui a imbottirsi di cibi. Arrivederci”. E me ne andai lasciando così il Dende a tavola; mentre uscivo lo sentii chiedere al McTillus: “Ma, insomma, quanto tempo ci vuole per cuocere queste salsicce?”.

(...continua...)



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