domenica 15 gennaio 2012

ZINGO n° 2 "Il grizzly d'alta montagna" (1a parte)


     Salve. Il mio nome è Zingo, Dino Zingo. Sono un investigatore privato e, che lo vogliate o meno, vado ora a raccontarvi una delle mie più entusiasmanti avventure.
     Un giorno stavo rimettendo a posto il mio ufficio in Via Gospel,  aggiornando in particolare le cartelle dei peggiori criminali di Giudatown e dintorni: davvero uno schedario di brutti ceffi!
     Poi ad un tratto... DRIIIN!  Il telefono! Dall'altro capo una voce squillante esordì: “Buondì. Sono Piotre Dende, sindaco di Bubba Mountain, ed ho un problema enorme”.
     Il Dende, con una prolissità che preferisco omettere, mi spiegò così che sulle nevi del suo ridente paesino di montagna – una delle stazioni sciistiche più importanti della regione – si stavano verificando misteriosissime sparizioni di animali; si sa, Bubba Mountain è per antonomasia la terra del grande grizzly... (cioè, io non lo sapevo di certo; me lo disse il Dende) Ma il terribile bestione raramente si era spinto fin nel centro abitato per fare razzia di provviste e così, se la tendenza dell'opinione pubblica propendeva per fare del grizzly il solo ed unico responsabile, di ben diverso avviso era il sindaco, il quale riteneva invece che dietro la scomparsa degli animali vi fosse uno zampino più... umano. Piotre, molto scrupoloso, aveva provato a parlare delle sue perplessità al capo della polizia locale, tale John Necchi, ma questi lo aveva schernito e liquidato in sole due parole: “Ma dài, Piotre, tu non capisci un cazzo!”.
     “Parta subito alla volta di Bubba Mountain, Zingo. Ho estremo bisogno del suo aiuto. Si fornisca di un'attrezzatura per la montagna e si prepari ad uno degli inverni più rigidi che si siano mai verificati da queste parti. Non accetto dinieghi, ha capito? Ci raggiunga in treno, è il mezzo più sicuro; con le strade ingombre di neve il viaggio in macchina potrebbe farsi rischioso. Le consiglio di raggiungere prima Pintesboro per poi prendere il pittoresco trenino che conduce a Bubba Mountain attraverso i passi e le vallate più suggestive. Vedrà, vedrà se non le dico il vero”.
     “Mi scusi, sindaco, come mai si è rivolto proprio a me?”.
     “Vista l'ottusità dei miei concittadini e soprattutto l'incompetenza del Necchi, ho deciso di rivolgermi altrove. E ho pensato di contattare il migliore sulla piazza: Dino Zingo”.
     “Ha ragione; non fa una piega. Parto domani mattina”.

     Il giorno dopo, come promesso all'amico Dende, fui in piedi di buon'ora. Già da Giudatown, sebbene la temperatura non lo richiedesse, partii con indosso pesanti indumenti di montagna oltre ai quali vorrei menzionare un grazioso paio di scarponcelli bigi da scalatore provetto, uno zaino formato-famiglia e un appuntito alpenstock. Alla stazione centrale destai il sarcastico interesse di parecchie persone. “Ride ben chi ride l'ultimo”, pensai tra me e me masticando amaro. In particolare, mentre stavo facendo la coda alla biglietteria, un bambino che dava la mano a sua madre e che avevo appena davanti, m'indicò spudoratamente e ridendo disse: “Mamma, guarda com'è vestito questo grullo!”. Senza parere, dopo qualche attimo, finsi una certa sbadataggine e calcai con forza la punta del mio alpenstock sul piede del bimbo il quale dette subito in un pianto dirotto. Dai singulti strozzati del figlio la madre non riuscì a capire bene che cosa egli avesse; tanto di guadagnato: oltre alla vendetta perfettamente consumata, la donna prese il bambino e si tolse addirittura dalla fila per andarsi a sedere su un divano della sala d'attesa e lì consolare amabilmente il figlioletto. Appunto: ride ben chi ride l'ultimo.
     Sul treno per Pintesboro capitai in uno scompartimento semivuoto; spiccava tra i passeggeri un allampanato figuro che teneva sulle ginocchia una gabbia con dentro un gatto persiano nervoso all'inverosimile; quando stavamo per raggiungere la nostra destinazione, il felino prese a dare in escandescenze arricciando il pelo, incurvando la schiena e miagolando tutta la sua rabbia. Il tale che lo portava con sé, di certo non un animalista dei più convinti, non esitò un istante; sollevò la gabbia con le sue lunghe braccia e poi la scrollò con tutta la forza che aveva tanto che il gatto, sballottato come un panno dentro la lavatrice, svenne. M'incuriosì il fatto che io e quel tizio con la gabbia fummo le sole due persone che da Pintesboro saltarono poi sul trenino a quattro vagoni che conduceva a Bubba Mountain. Stavolta però non capitammo nel medesimo scompartimento; mi trovai invece difronte un distinto signore con una cartella da studioso in braccio e due mezzelune calate fin sulla punta del naso. Durante il tragitto costui mi rivolse la parola: “Mi scusi, signore, mi chiamo Walter Sgangheri e sono un professore di lettere oramai in pensione. Avrei voglia di farle sentire una riflessione, se avrà la pazienza di ascoltarmi... Mi è sembrato di vedere in Lei una persona colta, sensibile, intelligente e curiosa”.
     “Certamente. Lei ha visto bene. L'ascolterò molto volentieri”.
     La storiella dello Sgangheri in realtà non c'entra niente con il caso che vi sto raccontando, ma la trovo interessante e ve la voglio ugualmente mettere qui di seguito.
     “Lord Pepe”, attaccò lo Sgangheri, “era un valentissimo scrittore di inizio secolo. Le sue opere sono ancora oggi materia di studio in tutte le scuole. Ebbene, il suo vero capolavoro è senza dubbio il ciclo inerente la vita di Gambler, un personaggio partorito dalla sua mente; Gambler era un guerriero medievale che si batteva contro i soprusi e le angherie dei potenti sfidando intere armate nemiche con il suo spadone di bronzo. Lord Pepe, scrittore tra i più efficaci della nostra letteratura, riuscì a creare dal nulla un mondo di pura fantasia che calzasse a pennello per il suo eroe; inoltre seppe dare alla figura di Gambler una tale forza da farlo sembrare quasi esistito sul serio. L’unica cosa che non volle concedere al suo personaggio fu l’amore della donna che egli desiderava ardentemente, Lady Isidora. A Lord Pepe piaceva che il suo eroe, invincibile sul campo di battaglia, avesse comunque una zona d’ombra all’interno del proprio animo: e gl’inferse così la profonda ferita di un amore non corrisposto. La saga di Gambler occupa gran parte della produzione artistica di Lord Pepe e l’intero ciclo si compone di diversi romanzi. L’ultimo di questi in ordine cronologico rimase incompiuto; si narra che Lord Pepe si stesse accingendo a narrare la morte di Lady Isidora quando fu ucciso presso il suo scrittoio. Il fatto prodigioso fu che Lord Pepe fu trovato, con la penna ancora in pugno, riverso in una pozza di sangue e trafitto da uno spadone di bronzo di età medievale… La leggenda vuole così che Gambler, ormai fortissimo e perfettamente autonomo, si sia ribellato al proprio creatore e gli abbia impedito, in un atto di estremo coraggio, di uccidere la sua amata Isidora. A costo di eliminare, assieme al suo autore, persino sé stesso!”.
     “E’ una storia molto bella, Sgangheri”, gli dissi convinto.
     “Sì. Gliel’ho raccontata perché per un attimo mi sono chiesto: e se anche noi (io, Lei, questo trenino per Bubba Mountain e tutto il resto) fossimo davvero i prodotti di una mente giocherellona? Potrebbe essere, no?”.
     “Certamente, professore, ma in verità le dico che il mio… come dire… il mio autore, finché mi farà rimanere il migliore investigatore privato oggi in circolazione e continuerà a farmi risolvere i casi più spinosi e difficili, può dormire sonni tranquilli: di certo mi guarderò bene dal piantargli un proiettile in mezzo agli occhi, eh, eh, eh…”.
     “La penso esattamente come Lei, gentile amico. E’ un piacere discutere a volte con un interlocutore acuto e raffinato. Buon proseguimento”.
     Il viaggio fu davvero spettacolare. Il trenino galoppava sicuro attraverso strette vallate stracariche di neve, mentre a nord si ammiravano già le vette irraggiungibili della catena delle Montagne Rafelson.
     Alla minuta stazioncina di Bubba Mountain, un borgo davvero caratteristico, trovai già ad aspettarmi lo scrupoloso sindaco Piotre Dende. Era questi un uomo molto grasso e rubicondo, ma pur con questi enormi difetti aveva un'aria simpatica. Mi accolse con un larghissimo sorriso: “Benvenuto a Bubba Mountain, Zingo. Ha visto che magnifici posti? Eeehh, lo so. Ma parliamo immediatamente delle cose che più ci interessano”. Così, mentre mi faceva salire sulla sua spartana utilitaria (il Dende era un sindaco davvero alla mano) e mi conduceva presso il mio alloggio, mi illustrò con dovizia di particolari il caso che intendeva affidarmi: “La vicenda è quanto mai misteriosa ma la gente del posto, ingenua e sempliciotta, si stringe nelle spalle e preferisce credere alla vecchia leggenda del grande grizzly”.
     “Ah! Quindi il grande grizzly sarebbe solo una vecchia leggenda?”, feci io sinceramente incuriosito dalle storie su questo mammiferone gigante e cattivo.
     “Non voglio dire questo, ma nel tempo gli avvistamenti del grizzly si sono fatti via via sempre più sporadici; senza dubbio l'animale ha sofferto la spietata caccia degli ultimi anni. Personalmente, e la mia opinione è avallata anche dagli studi dell'amico Bruger – noto grizzlologo – , io ritengo che il grande orso si sia a poco a poco spinto sempre più a nord, fin sulle Montagne Rafelson. E che volevamo? Che rimanesse qui a beccarsi le schioppettate dei nostri cacciatori senza scrupoli?”.
     “Quindi”, chiesi, “se le spariz... Attento, Dendeee!!!”.
     SKABONG!!!
     Già. Non vi ho detto che durante quel pur breve tragitto in macchina mi ero perfettamente reso conto che il sindaco guidava davvero male. Non per nulla, infatti, proprio adesso non aveva evitato di tamponare un pulmino di turisti crovacchi i quali scesero imprecando: “Dniepr shfyfjk sgjwo hatasg!!!”, fece uno inferocito. “Fnaso hfyuas gsfsf!!!”, ebbe un altro a rincarare la dose. Tuttavia il Dende, quasi non fosse accaduto niente (in realtà sia la sua vettura che il pulmino slavo presentavano grosse ammaccature), mise la sicura agli sportelli, aggirò il pulmino lentamente e, mentre quei minacciosi crovacchi ci colpivano con pugni sui finestrini e sul cofano, ripartì senza commenti. Poi riattaccò: “Mi diceva, Zingo?”.
     “Ah... sì. Cercavo di capire. Se le sparizioni degli animali non sono opera del grizzly, a chi ritiene si debba attribuirne la responsabilità?”.
     “Eh, eh... Lei è qui apposta per risolvere il mistero. In realtà io ho solo fiutato una pista diversa. Ma ora tocca a Lei scoprire la verità. Penso soltanto, come già le ho detto per telefono, che ci sia qualcuno che sta ordendo losche trame sfruttando proprio le fantasie popolari degli abitanti di Bubba Mountain circa la voracità del grande grizzly. Per dirla tutta, sto pensando seriamente a qualche cacciatore di frodo”.
     “E mi dica, sindaco, quanti e quali animali sono spariti fino ad ora?”.
     “Mah, basandoci esclusivamente sulle segnalazioni pervenute al comando di polizia, direi circa una ventina. Sono parecchi, se pensa che la nostra comunità non è certo molto estesa. Gli animali scomparsi sono i più vari. Si va dai comuni animali domestici (cani, gatti, canarini) a quelli un po' più insoliti che qualche appassionato di Bubba Mountain aveva preso ad allevare in casa propria: sono spariti nel nulla un tapiro, un gorilla, ed anche un alce, se ben ricordo. Comunque sarà mia premura farle avere la lista al più presto, non appena quell'idiota di John Necchi l'avrà redatta”.
     Così arrivammo a destinazione; il sindaco Dende aveva predisposto per me un comodo alloggio all'Hotel Grimaldi, uno dei più “in” di Bubba Mountain, che vantava anche una simpatica particolarità: per accedere ai piani superiori la clientela non si avvaleva delle scale o dell'ascensore, bensì di una... seggiovia. Sì, era questa una singolare idea dell’architetto che non intendeva trascurare l’attinenza con l’ambiente montano del posto (e va be'). La mia camera era davvero eccellente e la finestra offriva una veduta spettacolare. Ero così stanco del viaggio (oltretutto il Dende, estremamente prolisso, con tutti i particolari di quel caso mi aveva fatto una testa come un aerostato!) che, appena dopo una rapida doccia, mi stravaccai sul letto e dormii della grossa.
     Fui poi risvegliato sul tardo meriggio dal trillo del telefono: il portiere dell'albergo mi avvertiva che giù nella hall mi stava attendendo il capo della polizia, John Necchi. Il tempo di vestirmi, uscire di camera, montare in seggiovia ed ero già sceso al pianoterra. Il Necchi, che bizzarramente calzava un rude cappellaccio da cowboy – quasi fosse uno sceriffo del Far West – , era un omone dalla grossa stazza. Mi strinse la mano con poca convinzione e attaccò: “Bene. Io sono John Necchi, capo della polizia di Bubba Mountain. Lei invece sarebbe l'eccezionale investigatore che dovrebbe risolvere il giallo di queste montagne”.
     “Esatto. Il mio nome è Zingo, Dino Zingo, e sono proprio l'eccezionale investigatore cui accennava”.
     “E così quello stupido di Dende ha voluto fare di testa sua una volta di più e chiamare un curiosone addirittura da Giudatown”.
     “Be', Dende è il sindaco e le sue decisioni vanno rispettate, caro il mio Necchi”.
     “Sì, d'accordo, ma i soldi grazie a cui Lei può alloggiare qui a Bubba Mountain li cacciamo noi cittadini. Oltretutto non è che il Dende le ha dato una sistemazione di fortuna, in qualche rustica baita della zona. No, tutt'altro. Il signore qui ha bisogno di alloggiare all'Hotel Grimaldi, il nostro fiore all'occhiello, l'hotel che ci viene invidiato da tutti... l'hotel con la seggiovia, diavolo!”. E agitava le mani come un mulino a vento suole far con le sue pale.
     “Le consiglio di non agitarsi troppo, Necchi. Non vorrei le schiantasse un’arteria coronaria... “.
     “Si preoccupi semmai della sua salute, Zingo. L'inverno quassù non scherza affatto coi borghesucci di città”.
     “Piotre Dende mi aveva parlato in termini molto schietti circa la sua affabilità e cortesia. Adesso posso appurare di persona. Molto bene. E bravo il nostro Necchi”. E gli feci un bell'applauso sotto il naso.
     Il Necchi accusò e morse il freno: “Lei mi è odioso, Zingo. Spero di poterla presto cacciare da Bubba Mountain a calci in culo. Sì, presto: non appena sarà chiaro a tutti che a far sparire gli animali è stato solamente il grande grizzly!”.
     “Certo. Buonasera”. E rimontai veloce in seggiovia per tornarmene nella mia camera accogliente; sì, proprio quella che mi spesavano i cittadini di Bubba Mountain, eh, eh... Comunque l'inaspettato incontro con John Necchi mi era servito a capire una cosa: in questa brutta faccenda il capo della polizia c'era dentro fino al collo. Altrimenti perché incaponirsi a quel modo nel dare la colpa al grizzly? Sì, su di lui ora avrei indirizzato i miei sospetti.

(...continua...)

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